giovedì 13 ottobre 2016

rimorsi dell'ex-papa

Benedetto XVI ammette di avere rimorsi di coscienza sul Vaticano II

Interessante e inedito ciò che emerge da un capitolo fino ad ora poco ricordato dell'ultimo libro-intervista di Joseph Ratzinger: Benedetto XVI - Ultime conversazioni [vedi, nel blog]. Lo riportiamo nella traduzione di chiesaepostconcilio da OnePeterFive del 26 settembre 2016

Benedetto XVI ammette di avere rimorsi di coscienza sul Vaticano II

Dopo la sua pubblicazione da parte della casa editrice Droemer Verlag il 9 settembre 2016, il nuovo libro - intervista Benedikt XVI. Letzte Gespräche [Benedetto VI. Ultime conversazioni] ha suscitato discussioni approfondite e commenti di vario tipo, che fino ad ora sono stati pubblicati solamente in tedesco. È stato per esempio fatto notare come l’ex-Papa supporti con adesione sincera il papato di Papa Francesco e come difenda tuttora la sua decisione di abbandonare l’officio petrino, definendolo non una fuga, bensì una sua decisione serena e non dettata dal timore. È stato anche riferito che l’ex-Papa continua a sostenere che la Chiesa si trovava in ottimo stato quando egli ha deciso di dimettersi.
Ma sarà un’altra parte del libro ad interessare moltissimo il mondo cattolico: quella in cui Joseph Ratzinger analizza il proprio ruolo all’interno del Concilio Vaticano II e persino le conseguenze distruttive che questo evento ha avuto sulla Chiesa. Molto recentemente, nel marzo 2016, egli aveva già espresso note critiche sul Concilio che avevano immediatamente richiamato l’attenzione in tutto il mondo: Ratzinger aveva infatti descritto una “profonda, duplice crisi”, specialmente per quanto riguarda l’opera missionaria della Chiesa a partire dal Concilio Vaticano II. In questo nuovo libro, egli sembra ammettere di avere rimorsi di coscienza sul proprio coinvolgimento come peritus nell’ambito del Concilio stesso, anche se continua ad affermare che il Concilio in sé era necessario. Nel testo che segue, citerò alcuni paragrafi più ampi del nuovo capitolo del libro dedicato al Concilio Vaticano II, dato che quest’ultimo rappresenta ancora un tema spinoso all’interno della Chiesa e solleva ancora un dibattito molto acceso. Il capitolo si intitola Konzil: Traum und Trauma (Concilio: sogno e trauma) e si trova alle pagine 142-167 del libro. Farò qua e là riferimenti ad alcune di queste pagine.


In questo testo, Benedetto XVI ammette di essere stato un “progressista” all’epoca del Concilio Vaticano II. Come fa notare il giornalista Peter Seewald – a volte grazie alle sue domande che tendono a indirizzare il discorso –, Ratzinger ha avuto anche un ruolo di leader nei lavori preparatori del Concilio. In quell’occasione, egli conobbe il Cardinal Josef Frings di Colonia, Germania, anche lui membro della Commissione Preparatoria del Concilio. A un certo punto Frings invitò Ratzinger a stendere i propri commenti e le proprie critiche su ciascuno degli schemata (bozze) che egli stesso aveva ricevuto preliminarmente dalla Commissione. Come sottolinea Seewald, Frings utilizzò persino i testi scritti da Ratzinger, che presentò più tardi nelle sessioni del Concilio in cui lo stesso Ratzinger non era presente.
È di nuovo grazie alle domande ricche di insinuazioni di Seewald che apprendiamo che fu il discorso di Frings del 10 novembre a Genova, Italia – quasi un anno prima dell’inizio ufficiale del Concilio nell’ottobre del 1962 – a “dare un nuovo orientamento al Concilio” (p. 143). Come afferma Seewald: “Lui [Frings] ha pronunciato il discorso, ma il testo lo aveva scritto Lei”. Seewald riferisce anche che Papa Giovanni XXIII invitò il Cardinal Frings a partecipare a una conversazione in cui gli disse: “Sua Eminenza, devo ringraziarLa. Stasera ho letto il Suo discorso [quello del 19 novembre 1961]. Sono lieto di vedere che la pensiamo allo stesso modo su molte cose”. Ratzinger conferma di aver sentito parlare di quest’incontro con Giovanni XXIII da parte del Cardinal Frings in persona. Ratzinger non poté invece incontrare il Papa in persona, perché “allora [Giovanni XXIII] era già gravemente malato” (p. 145).
L’ex-Papa racconta anche di essere stato sempre presente alle riunioni che si svolsero alla Villa Mater Dei, organizzate dal Vescovo Hermann Volk. Ratzinger afferma: “È lì che ho incontrato anche de Lubac ...”. In risposta alla domanda su come sia stato questo primo incontro di persona con de Lubac, Ratzinger racconta: “Era emozionante per me incontrarlo finalmente di persona. Era una persona molto semplice, molto umile e molto cortese. Mi sono sentito subito come se fossimo stati vecchi amici”. Ratzinger aggiunge che “è sempre stato molto caloroso e veramente fraterno. Anche Daniélou [Jean Daniélou, un cardinale francese] è sempre stato un uomo allegro e conviviale”. Agli occhi dell’ex-Papa, de Lubac era un uomo molto laborioso – proprio come il cardinale francese Yves Congar, “che ha lavorato sempre incessantemente nella Commissione Teologica”.
Quando gli viene chiesto quale tra tutti i teologi fosse il suo preferito, Ratzinger risponde: “Direi de Lubac e Balthasar”, e aggiunge che fu “estremamente emozionante” incontrare e parlare “con delle figure così grandi” come Lubac, Daniélou e Congar. Egli partecipò in seguito alle sessioni all’interno di San Pietro “dal momento in cui divenni un Teologo ufficiale del Concilio [incaricato direttamente dal Papa; Ratzinger divenne un Teologo ufficiale del Concilio all’inizio della seconda sessione (settembre-dicembre 1963) e lo fu fino alla sua conclusione]”.
Quando giunse per la prima volta a Roma in quegli anni, Ratzinger ammette di aver nutrito

una sorta di sentimento anti-romano. Non perché rinnegassi il primato – l’obbedienza dovuta al Papa – bensì perché avevo in fin dei conti una certa riserva interiore contro la teologia che veniva elaborata a Roma. In questo senso, provavo un certo distanziamento. Tuttavia, non mi sono mai spinto così in là come alcuni miei colleghi tra gli studenti, che dicevano: “Piuttosto che andare a Roma, andrei a Gerusalemme!”.
Tuttavia, Ratzinger ammette di non aver provato “un desiderio particolare di andare a Roma”. Quando finalmente vi arrivò per la prima volta in vita sua, nella Pasqua del 1962, egli rimase vivamente impressionato alla vista dei siti dell’ “antica Roma”, le catacombe, la necropoli sotto San Pietro, le prime chiese – “perché lì le origini erano palpabili”. Egli sottolinea così di nuovo la sua particolare sensibilità nei confronti della “continuità radicata nelle sue origini”. È possibile riscontrare questo stesso atteggiamento di ritorno alle origini ignorando la teologia tomistica nell’operato di Ratzinger durante il Concilio. Ma ritorneremo su questo punto più avanti.
Parlando del suo primo viaggio a Roma e del Concilio stesso, Ratzinger descrive come rimase impressionato da Papa Giovanni XXIII:
Era già palpabile l’entusiasmo che Giovanni XXIII aveva risvegliato. Mi attrasse sin dall’inizio il suo completo anti-convenzionalismo. Mi piaceva il suo modo di essere diretto, semplice, umano.
Quando gli viene chiesto se era un seguace di Giovanni XXIII, l’ex-Papa risponde: “Certo che lo ero”, e quando lo si incalza chiedendogli se era un suo “vero ammiratore”: “Proprio così: un vero ammiratore”. Ratzinger racconta che il momento in cui il Concilio venne proclamato fu “commovente” e che suscitò “grandi speranze”. Lui stesso partecipò a tutte e quattro le sessioni, dall’inizio alla fine. Ratzinger ammette di non aver avuto una buona padronanza del latino all’epoca del Concilio. (Più tardi, secondo quanto ci ha assicurato un suo amico sacerdote, sarebbe diventato anche un eccellente conversatore in latino.) “Non ho mai studiato teologia in latino”, afferma il teologo tedesco, “abbiamo fatto tutto in Germania” (p. 153).
L’ex-Papa racconta a Seewald anche che durante il Concilio egli stesso faceva parte dei “progressisti”, anche se “allora ‘progressista’ non aveva la connotazione di una persona che si allontana dalla Fede, bensì di una persona che impara a conoscerla meglio e a viverla più correttamente ispirandosi alle origini”. Ratzinger aggiunge:
All’epoca ero dell’opinione che ciò fosse tutto quel che volevamo. Progressisti famosi come Lubac, Daniélou e altri la pensavano allo stesso modo. Il cambiamento era palpabile già nel secondo anno conciliare [1963], ma si manifestò più chiaramente solo nel corso degli anni successivi.
A questo punto è opportuno citare un’altra domanda di Seewald, dato che fa capire molte cose:
Le ultime ricerche dimostrano che il Suo contributo al fianco del Cardinal Frings fu molto più grande rispetto a quanto Lei abbia fatto vedere. Abbiamo già menzionato il Discorso di Genova. Oltre a quest’ultimo, prima dell’apertura del Concilio, era stato pronunciato anche un primo discorso per i vescovi di lingua tedesca all’Anima [il Collegio Teutonico di Santa Maria dell’Anima, lo storico Collegio Pontificio per i sacerdoti tedeschi], una sorta di istruzione. Seguirono poi le istruzioni che permisero a Frings di silurare l’elezione dei [membri delle] dieci Commissioni Conciliari che era stata programmata per il 13 ottobre [1962] e che avrebbe favorito i candidati scelti dalla Curia Romana.
Ratzinger risponde con qualche riserva a questa domanda, affermando che le “istruzioni a Frings” erano in realtà “un’iniziativa del tutto sua [di Frings]”. Egli aggiunge:
Non mi immischiai nelle questioni burocratiche, tecniche o politiche. Egli pensava davvero che bisognasse conoscere tutti all’interno del Concilio prima di poter eleggere i membri delle Commissioni tra i suoi partecipanti.
L’ex-Papa descrive anche la sorpresa che suscitarono le iniziative e la leadership efficacemente “rivoluzionarie” di Frings, affermando che il cardinale era allora sicuramente “ritenuto estremamente conservatore e rigido”. Lo stesso Frings spiegò una volta a Ratzinger che una cosa era governare la propria diocesi in obbedienza al Papa, un’altra cosa essere da lui invitati a “co-governare” la Chiesa e il Concilio e pertanto ad “assumersi le proprie responsabilità”. Ratzinger ritiene che Frings non avesse un programma di riforme chiaro quando si presentò al Concilio, ma che condivise con lui tutti gli schemata prima di cominciare. L’ex-Papa commenta a proposito degli schemata di
non averli giudicati così negativamente come sono stati considerati più tardi. Gli mandai [a Frings] allora molte correzioni, ma la struttura nel suo insieme – eccetto il decreto sulla Rivelazione – non la toccai. Eravamo d’accordo [Frings e Ratzinger] sul fatto che l’orientamento fondamentale era lì, ma che c’era ancora molto da migliorare. Vale a dire, che il Magistero corrente doveva essere meno dominante e che la [Sacra] Scrittura e i Padri [della Chiesa] dovevano avere un peso maggiore.
A questo punto, è opportuno menzionare di nuovo la domanda insidiosa di Seewald, il quale afferma che ci sono voci secondo le quali Ratzinger avrebbe avuto “un ruolo decisivo all’interno dell’‘assemblea insurrezionale’ [Putschversammlung] al Collegio dell’Anima dei sacerdoti tedeschi il 15 ottobre 1962”. Secondo un giornalista tedesco, in quella riunione venne redatto un testo alternativo alla Bozza Romana, di cui vennero realizzate e distribuite tra i Padri Conciliari 3.000 copie. Ratzinger indugia un po’ prima di rispondere: “Definirla un’‘assemblea insurrezionale’ è eccessivo. Ma eravamo convinti del fatto che – specialmente per quanto riguarda la questione della Rivelazione – bisognasse esprimersi in modo diverso rispetto a quello che si poteva percepire lì”. E aggiunge, mostrando ulteriormente la sua distanza intellettuale dalla Scolastica Tomistica: “La [bozza] originale era stata scritta in stile neo-scolastico e non prendeva sufficientemente in considerazione le nostre intuizioni”. Dato che la Rivelazione era la sua specialità, Ratzinger ammette di aver svolto un ruolo attivo nel dibattito, “ma solo dietro invito e sotto la supervisione di Sua Eminenza [il Cardinal Frings]”. Successivamente, quando venne accusato di aver “ingannato” Frings, respinse l’accusa: “Entrambi eravamo convinti del fatto che dovevamo servire lì la causa della Fede e della Chiesa”, spiega Ratzinger, che aggiunge:
E che dovevamo chiarire la vera relazione tra la Scrittura, la Tradizione e il Magistero – utilizzando entrambi nuove nozioni e un nuovo metodo di approccio alla materia affinché essa potesse essere compresa e sostenuta in modo migliore. E quel metodo venne poi adottato anche [dal Concilio].
L’ex-Papa ritiene di aver semplicemente sviluppato – insieme ai suoi colleghi progressisti (la maggior parte dei quali erano cardinali) – nuove idee. “Non so come esse si siano successivamente diffuse in tutto il Concilio”, ammette. “Ovviamente ci aspettavamo di essere contrastati in modo polemico, con l’argomento che si trattasse [l’innovazione] di un testo tipicamente massonico e cose del genere” (p. 156). Quando gli si chiede se ciò è successo davvero, Ratzinger lo conferma persino ridacchiando: “Sì, sì. Anche se non credo si possa sospettare che io sia massone”.
Di nuovo, Seewald mette in risalto il persistere dell’influenza di Ratzinger sul Concilio: “Gli argomenti e il testo che il Cardinal Frings ha quindi presentato il 14 novembre 1962” e che hanno poi “fatto barcollare tutto erano Suoi”. Grazie ad essi, la bozza e il programma originari, quelli che avrebbero “bloccato tutto”, vennero “spazzati via”; e ora, secondo Seewald, “si poteva discutere liberamente su ogni tema”. Nella sua risposta alla domanda di Seewald, l’ex-Papa racconta che al momento del voto solamente un’esigua maggioranza era a favore degli schemata conservatori, e aggiunge: “Ma poi Papa Giovanni vide che quella maggioranza era troppo esigua per poter essere sostenibile, e quindi decise che bisognava ricominciare da capo”. Ratzinger specifica che fu felice di quella decisione:
Eravamo allora tutti molto curiosi di vedere cosa avrebbe fatto il Papa [dopo il voto], e ci rallegrammo quando disse che bisognava ricominciare tutto da capo, anche se in linea di principio la situazione legale ci avrebbe permesso di conservare la vecchia versione.
La domanda successiva di Seewald evidenzia ancora una volta il ruolo importante di Ratzinger all’interno del Concilio, sottolineando il fatto che solo sette giorni più tardi, il 21 novembre 1962, i Padri Conciliari respinsero lo schema sulle “‘Fonti della Rivelazione’, che Lei [Ratzinger] aveva tanto pesantemente criticato”. Dice Seewald:
All’epoca Lei scrisse che il testo era “influenzato dal punto di vista anti-modernista” e che aveva un tono “frigido e quasi sconvolgente”. Lei stesso si accorse più tardi del fatto che questa rimozione [quella dello schema originario sulla Rivelazione] fu il vero punto di svolta del Concilio.
Ridacchiando, l’ex-Papa risponde: “Oggi io stesso mi sorprendo dell’audacia con cui mi esprimevo in quei giorni”. Egli conferma che “quello fu un vero punto di svolta – ossia, rimosse uno dei testi presentati e permise un nuovo inizio delle discussioni”.
Quando gli si chiede della sua collaborazione con Karl Rahner, Ratzinger rivela che era facile lavorare con quest’ultimo – che era ventitré anni più vecchio di lui – perché amava incoraggiare i giovani teologi. L’ex-Papa aggiunge:
Lavorando con lui [Rahner] sul testo, mi sono però accorto del fatto che appartenevamo a due differenti scuole di pensiero. Egli proveniva totalmente dalla Scolastica, il che era un grande vantaggio per lui, perché era molto più capace di entrare nel contesto comune della discussione. Io, invece, provenivo dalla Bibbia e dai Padri.
Ratzinger spiega anche che ha lavorato con Rahner principalmente nel 1962 e che è stato facile scrivere con lui i vari testi che hanno redatto insieme perché essi condividevano “un’idea e delle intenzioni fondamentali comuni”. (Senza specificare cosa ciò voglia dire.)
In un altro punto, Seewald chiede a Ratzinger delucidazioni sull’incidente che lo vide contraddire con forza Papa Paolo VI, quando “quest’ultimo non solo pose fine al Vecchio Messale, ma allo stesso tempo lo proibì”. (Parole queste che contraddicono le parole stesse di Benedetto XVI del 2007, secondo le quali la Messa Vetus Ordo “non è mai stata abrogata”.) L’ex-Papa obietta a questa domanda affermando che “‘fortemente’ è un po’ eccessivo”, e spiega che il Papa non lo punì per la sua critica perché “sicuramente era convinto del fatto che tutto sommato io seguivo pienamente la sua linea – il che era vero”. (Di nuovo, cosa si intende per “la sua linea” non viene specificato.)
Alla fine di questo importante capitolo, che mostra nel dettaglio il coinvolgimento del Cardinal Ratzinger all’interno del Concilio Vaticano II, Peter Seewald suggerisce l’idea che più tardi Ratzinger abbia cominciato ad avere dei dubbi su quegli sviluppi innovativi, sia durante che subito dopo il Concilio, e gli chiede se “fa parte della tragedia del Concilio il fatto che esso aprì una scissione all’interno della Chiesa che continua essenzialmente ancora oggi”. L’ex-Papa conferma quest’idea affermando:
Direi di sì. La volontà dei vescovi era quella di rinnovare la Fede, di approfondirla. Tuttavia si sono presentate in modo continuamente crescente altre forze efficaci – specialmente giornalisti – che hanno interpretato le cose in un modo completamente nuovo. A un certo punto la gente ha cominciato a chiedere: “Se i vescovi possono cambiare tutto, noi non possiamo fare altrettanto?”. La liturgia ha cominciato a crollare e a scadere nell’improvvisazione. A questo proposito, si può osservare che una volontà positiva è stata successivamente dirottata in un’altra direzione. A partire dal 1965 ho compreso che la mia missione era quella di chiarire cosa volevamo e cosa non volevamo realmente.
Quindi Seewald rivolge all’ex-Papa una domanda allo stesso tempo importante e pungente: “Come partecipante, come persona corresponsabile, non ha anche qualche rimorso di coscienza?”. Ratzinger risponde:
Uno si chiede davvero se ha operato in modo giusto. Specialmente quando tutto è deragliato. È sicuramente una questione che mi sono posto. Il Cardinal Frings ha avuto in seguito dei rimorsi di coscienza molto forti. Ma io sono stato sempre consapevole del fatto che ciò che abbiamo detto e fatto realmente era giusto e che doveva anche succedere. Nel complesso, abbiamo agito correttamente – anche se sicuramente non abbiamo valutato correttamente le conseguenze politiche e pratiche. Abbiamo ragionato in modo troppo teologico e non abbiamo considerato quali avrebbero potuto essere le conseguenze.
Quando gli si chiede se sia stato un errore convocare il Concilio tout court, Ratzinger insiste:
No, è stato sicuramente giusto. Sì, ovviamente ci si può chiedere se fosse necessario o no. E sin dall’inizio vi erano delle persone che erano contro di esso. Ma nel complesso quello era un momento in cui ci si aspettava semplicemente che la Chiesa facesse qualcosa di nuovo, che operasse un rinnovamento che provenisse da tutte le sue componenti – non solo da Roma – sfociando in un incontro per la Chiesa Universale. Da questo punto di vista, quello era il momento (p. 167).
L’ex-Papa conferma anche che più tardi, quando venne eletto Papa, lui stesso ha cercato di incorporare alcuni elementi speciali del Concilio – come per esempio (secondo le parole di Seewald) “una nuova fisionomia del primato che portasse a una maggiore ‘comunione’ tra il Papa e i vescovi”, e la promozione di uno “spirito di semplicità”. Ratzinger risponde al commento implicitamente interrogativo di Seewald (“È corretta questa descrizione?”) semplicemente con due parole: “Sì, assolutamente”.
L’ex-Papa sembra quindi mostrare che – nonostante certe riserve – egli è ancora essenzialmente un uomo del Concilio, per quanto gli possa rimanere qualche rimorso di coscienza.

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