mercoledì 7 settembre 2016

vogliamo essere felici

 La farsa del ‘Fertility day’ rivela la tristezza libertaria. E noi invece vogliamo essere felici 

 di Massimo Micaletti


Com’era prevedibile, l’iniziativa del Ministro Lorenzin denominata, con tanta ma tanta fantasia “Fertility Day” (ed in ordine alla quale lo stesso Ministro ha chiarito immediatamente che non si tratta – non sia mai! – di una campagna per la natalità ma solo per la consapevolezza sulla fertilità) ha suscitato un polverone, riportando alla ribalta slogan e trigger femministi che nella mareggiata LGBT si erano un po’ persi. Povere femmine, sembrava che tra gay e lesbiche non interessassero più a nessuno, che le si desse un po’ per scontate, e invece – tadàn! – eccole qua che ci sono, riaprono gli scatoloni degli Anni Settanta e tirano fuori roba un po’ impolverata ma che insomma fa sempre la sua figura, specie se data in pasto a giornalisti che la pensano allo stesso modo. ‘Na mezza rimpatriata, insomma, coi nipotini (de zia) Saviano e Scanzi a far la solita comparsa con dichiarazioni tanto imprevedibili che i bookmaker le avrebbero date a zero.

Però, a fianco di chi grida alla nazionalizzazione fascista degli organi riproduttivi femminili (perché chiaramente la fertilità è roba solo di donne, no? siamo negli Anni Settanta o no, eccheddiamine?) ci sono le menti più pensose, forse ironiche, magari accorate, che sostengono con sdegno pari a quello delle consorelle ma signorilmente composto che insomma i problemi sono altri, che ci vorrebbero più politiche sociali, che mancano gli asili, che i pannolini non li passa lo Stato, che bisogna riformare la maternità delle lavoratrici, che qui e che lì.

Politiche sociali, asili, pannolini… Tutte cose bellissime, per carità, e giustissime: peccato che queste stesse signore, signorine e i loro accoliti maschietti non ne abbiano mai parlato prima, né ci abbiano neppure mai pensato.

Non dimentichiamo che siamo in un Paese in cui la CGIL ha promosso un ricorso farsa – bocciato dagli organi europei – asserendo che in Italia i medici non obiettori di coscienza sarebbero discriminati e che l’accesso all’aborto sarebbe disagevole: ecco quello che fanno per le lavoratrici madri gli amichetti e le amichette di quelli che dinanzi al Fertility Day vanno frignando che alla denatalità non si risponde colle campagne di sensibilizzazione.

Non dimentichiamo che siamo in un Paese che demanda la “Tutela sociale della maternità” alla Legge 194/78, ossia alla legge sull’aborto, che ha fatto sì che sei milioni di italiani finissero tra i rifiuti ospedalieri in nome di quella stessa idea di maternità che ci ha portato al punto in cui siamo e che viene strenuamente difesa da queste neonate vestali della natalità in salsa Capalbio ma pure dalla stessa Lorenzin.

Non dimentichiamo soprattutto che esiste un nesso naturale tra fertilità, maternità, famiglia e natalità e questo nesso è – lo ripeto – naturale, ossia non può essere mutato né spezzato pena l’estinzione della specie (che è poi più o meno quanto sta avvenendo) e che quelle stesse signore, signorine e maschietti si battono proprio affinché esso sia mutato e spezzato.

La fertilità è il profilo biologico della procreazione, e attiene non solo alla donna (che nel dibattito degli ultimi cinquant’anni se ne è impossessata: e con che diritto?). Colla cultura della contraccezione, si è agito da subito col preciso intento di violare e piegare la fertilità alle scelte dell’individuo.

La maternità – o meglio, la genitorialità – ne è la proiezione nel rapporto col nascituro e col nato, col figlio in tutti momenti della sua vita. E’ un fenomeno dinamico, non si ferma mai neppure dopo la morte di uno dei protagonisti (madre, padre, figlio) ed è stato decapitato coll’introduzione dell’aborto finanziato dallo Stato, che non solo ha conferito alla gestante potere di vita o di morte sul concepito ma ha reso quei soggetti che di natura dovrebbero proteggere il rapporto tra genitori e figli – ossia il medico e la collettività – attori efficienti ed efficaci nella distruzione dell’essere umano in grembo e quindi della maternità e della genitorialità stesse.

La famiglia è la struttura sociale, naturale, ordinata nella quale la vita trova accoglienza ed accadimento. Essa è stata divelta e disarticolata dal pullulare di forme di unione, convivenza, consessualità più o meno evolute e complesse che nell’affiancarsi ad essa l’hanno sfigurata e fiaccata. Possiamo dire, scrivere e gridare quanto vogliamo che “famiglia” è qualunque cosa noi vogliamo purché ci si voglia bene, la realtà dei fatti dimostrerà sempre un’altra cosa, che se ne voglia prendere atto o no.

La natalità è il dato fenomenologico e statistico che registra l’impatto degli altri tre su un popolo, quindi in definitiva sul benessere e sull’esistenza di tutte le persone prese a riferimento.

E l’esistenza del nesso tra fertilità, maternità, famiglia e natalità dà fastidio, e questo nesso è l’obiettivo, il nemico giurato di una guerra ottusa condotta dalle zie e dai nipotini di cui sopra e dai loro mentori con gli strumenti cui ho fatto cenno. Questo nesso è ingombrante non solo per una concezione individualista della maternità come libera scelta, ma anche per tutte le alchimie in tema di famiglia che quelle stesse persone sostengono.

E’ dunque eretico parlare di natalità in un Paese che celebra unioni civili e che ogni giorno somministra più o meno trecento aborti e distrugge ancor più embrioni nel business della fecondazione artificiale, perché della natalità gli inquisitori dalla penna rossa non vogliono sentir parlare e non vogliono sentirne parlare perché è la prova provata che il loro modello fatto di preservativo+pillola+divorzio+aborto+LGBT porta all’autodistruzione e lo sanno benissimo, per questo frignano che la colpa è dello Stato che non fa politiche sociali (pur vero).

Frignano perché hanno ben chiaro che è colpa loro, è colpa di quello in cui hanno creduto per anni e che li ha arricchiti con libri, film, conferenze, su cui hanno scommesso la loro vita, vita che non a caso i più di loro chiedono di poter chiudere con un suicidio medico. Non riescono ad uscirne, sono prigionieri di un pensiero sterile che alla fine li soffoca nell’eutanasia.
Un pensiero sterile che grazie a Dio non ci riguarda.

Mentre questi continuano a suonare la loro redditizia e monotona orchestrina sul Titanic, noi dunque rimbocchiamoci le maniche e cerchiamo di rimediare ai disastri che hanno combinato e che continuano a difendere.

Non abbiamo paura dei figli, dei bambini: affidiamo i nostri figli e noi a Dio con intelligenza, responsabilità e soprattutto Fede e Speranza.
Concepire, far nascere, allevare, educare, consigliare, aspettare, lasciare una vita nuova che Dio ha donato all’amore nostro e della nostra famiglia è una via meravigliosa per rendere gloria a Dio: il che vuol dire poi in concreto – in concreto, adesso, nel quotidiano! –  complicarsi la vita, soffrire, temere, gioire, commuoversi, ascoltare, tacere, pregare, sorridere. Ossia, essere felici.


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