lunedì 26 settembre 2016

Lutero e i matrimoni gay

Lutero, un Machiavelli della fede 

di Francesco Agnoli


In occasione del cinquecentesimo anniversario della rivoluzione di Martin Lutero lo scontro tra cardinali tedeschi è già da tempo in atto: da una parte i cardinali Kasper e Marx, che di Lutero si dichiarano apertamente ammiratori, dall’altra i porporati Mueller, Brandmuller e Cordes, che si collocano invece nel solco del pensiero cattolico, vedendo in Lutero l’uomo che deformò il Vangelo e spezzò la Chiesa, dividendo così la Cristianità e l’Europa.

Non si tratta, però, solo di un dibattito teologico “alto”; vi sono implicazioni anche riguardo al diritto naturale ed al modo di concepire il matrimonio cristiano. Kasper e Marx stanno cercando da alcuni anni, dopo l’abdicazione di Benedetto, di limitare la condanna dell’adulterio e di legittimare, più o meno apertamente, le seconde nozze, con aperture graduali anche al matrimonio gay. Cosa c’entra in tutto ciò Lutero?


Forse ben più di quanto si creda. Anzitutto, riguardo alla dottrina, perchè egli nega il carattere di sacramento al matrimonio, e lo sottopone alla giurisdizione secolare, cioè al potere dei sovrani, degli Stati. Questa concezione desacralizza il matrimonio e lo priva del suo tradizionale significato soprannaturale.

Sul piano dei fatti, la prima cosa da ricordare è il matrimonio di Lutero con una ex suora cistercense, Caterina von Bora, da cui avrà 6 figli. I due vanno ad abitare nell’ex convento agostiniano di Wittenberg, donato loro dal principe elettore di Sassonia (il quale deve a sua volta a Lutero il fatto di essere diventato proprietario dei beni della Chiesa cattolica nelle sue terre).

Lutero e Caterina divengono così un modello tanto che, sul loro esempio, i riformati “si adoperarono parecchie volte, spesso in intere comitive, per strappare le religiose dai loro chiostri, per farne le loro spose“.

Dopo un ratto di religiose che ha luogo la notte del sabato santo 1523, Lutero definisce l’organizzatore dell’impresa “felice ladro” e si congratula con lui per aver “liberato queste povere anime dalla prigionia(vedi Jacques Maritain, I tre riformatori. Lutero. Cartesio. Rousseau, Morcelliana, Brescia, 1990, p. 215). Sono gli anni in cui molte religiose tedesche vengono costrette a lasciare i monasteri, spesso controvoglia, e a tornare alle proprie case, oppure a sposarsi.

Il secondo fatto da ricordare è il seguente: Lutero, per non perdere l’appoggio del langravio Filippo d’Assia, “uno dei due pilastri politici sui quali si reggeva il luteranesimo”, gli concede di sposare in seconde nozze la damigella diciassettenne Margarete von Saale.

Filippo ha già una moglie, Cristina di Sassonia, dalla quale ha avuto sette figli. Siamo nel 1539. Lutero non vuole scandali rumorosi, non vuole giustificare pubblicamente una bigamia, ma deve acconsentire alle richieste di Filippo, libertino incallito, malato di sifilide, ma “necessario per conservare integra la forza militare della riforma”.

Per questo decide di agire con furbizia: sperando che nessuno lo venga a sapere, comunica segretamente a Filippo che il matrimonio supplementare può essere determinato da una “necessità di coscienza”.

In altre parole: la bigamia va bene, ma basta che non diventi pubblica. Scrivono Lutero e Melantone: “Se dunque vostra Altezza è definitivamente decisa a prendere una seconda moglie, il nostro parere è che ciò deve rimanere segreto”.

A nozze avvenute, Filippo invia a Lutero, ormai da tempo dedito a mangiate e bevute imponenti, “una botte di vino, che giunse a Wittenberg quando ormai il segreto della bigamia era trapelato ad opera della sorella del langravio”.

Sentendosi nei guai, Lutero, che meriterà da Tommaso Campanella il titolo di “Machiavelli della fede”, consiglia a Filippo di dichiarare pubblicamente che Margarete non è la sua moglie legittima, “sostituendo l’atto di matrimonio con un altro atto notarile che dichiarasse che Margarete era solo la sua concubina”. Filippo rifiuta, ed anzi chiede a Lutero di confermare pubblicamente di aver concesso lui stesso la dispensa.

Ma Lutero, che in altre occasioni non esiterà a proporre traduzioni fasulle di passi biblici, pur di avere ragione, risponde che il suo consiglio era segreto, “e ora diventava nullo perchè era stato reso pubblico” (Federico A. Rossi di Marignano, Martin Lutero e Caterina von Bora, Ancora, Milano, 2013, p. 343-347; Angela Pellicciari, Martin Lutero, Cantagalli, Siena, 2013, p. 109-113).

Pochi anni prima di questi fatti, nel 1531, Lutero, in una delle sue tante lettere alla ricerca del  favore dei potenti, ha scritto ad Enrico VIII re d’Inghilterra che sì, il matrimonio è indissolubile, però… con il permesso della regina si può sposare una seconda moglie, come nell’Antico Testamento.

Come sappiamo, Enrico chiederà la dispensa non a Lutero, ma al papa di Roma, ma non ottenendola, coglierà la palla al balzo: proclamerà la scisma con Roma, e alla fine, di ripudio in ripudio, “in coscienza”, arriverrà alla ragguardevole cifra di 6 mogli (alcune delle quali fatte uccidere senza scrupoli).

Se l’effetto evidente della rivoluzione di Lutero riguardo al matrimonio, è dunque il pretesto fornito a se stesso per gettare la tonaca e il pretesto fornito ai principi per permettere loro di ripudiare le legittime consorti e vivere in poligamia, anche sul piano della dottrina tutto è destinato gradualmente a cambiare.

Bisogna sempre tener conto di un fatto: Lutero guarda costantemente alla nobiltà germanica come al suo principale interlocutore, di cui ha bisogno per vincere la sua lotta con Roma.

E la nobiltà germanica, come quella di altri paesi, è in lotta con la Chiesa non solo per questioni politiche e di potere, ma anche sulla dottrina del matrimonio: spesso i nobili non accettano l’indissolubilità, nè i vincoli al matrimonio imposti da Roma (divieto di matrimoni combinati, di matrimoni tra consanguinei…).

Inoltre, per motivi legati alle loro condizioni sociali o ereditarie i nobili reclamano più degli altri il diritto dei genitori di concedere o negare il consenso ai nubendi, mentre la Chiesa romana, al contrario, riconosce solo ai nubendi, in quanto unici ministri dello stesso, il diritto di decidere del loro matrimonio. Cosa rispondono Lutero e i riformati a queste “esigenze” nobiliari, e non solo. Anzitutto criticando l’indissolubilità assoluta.

Lutero riconosce così almeno 4 cause per il divorzio: l’adulterio, l’impotenza sopraggiunta durante il matrimonio (mentre quella antecedente è causa di nullità, come per la Chiesa), la “diserzione maliziosa” e l’ostinazione tenace del coniuge nel rifiutare l’amplesso maritale (riguardo a quest’ultima causa, arriva a scrivere: “Se la moglie trascura il suo dovere, l’autorità temporale la deve costringere, oppure metterla a morte”).

Inevitabile che le aperture di Lutero ne generino di ulteriori, come quelle degli anabattisti, favorevoli alla poligamia, o quelle del suo discepolo M. Butzer, per il quale Cristo non avrebbe mai abolito il ripudio, e spetterebbe alle autorità politiche legiferare, senza limiti nè condizioni, riguardo al divorzio.

Inoltre Lutero e i riformati insistono, con accenti diversi, sull’opportunità del consenso dei genitori, rimproverando la Chiesa di ridurne l’importanza, e si battono per ridurre gli impedimenti di consanguineità (Jean Gaudemet, Il matrimonio in Occidente, Sei, Torino, 1996, p. 207-2012).

La Chiesa cattolica, dal canto suo, con il Concilio di Trento, prenderà in esame la posizione di Lutero, ribadendo una volta per sempre il carattere sacramentale del matrimonio e la sua indissolubilità, negando la liceità del divorzio luterano, ribadendo, nonostante le pressioni della nobiltà francese, che il consenso dei genitori, pur opportuno, non è vincolante e condannando l’assunto luterano secondo cui vivere in castità è impossibile.

La posizione espressa dal Concilio di Trento verrà ribadita dalla Chiesa e dai pontefici per 500 anni, senza mutamenti.

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